Ok, stiamo parlando di un capolavoro.
Con la regia di Dexter Fletcher, la recitazione e la performance canora assurda di Taron Egerton, Rocketman è un film/musical dalla pasta onirica, che racconta l’ascesa di Reginald Dwight, per il mondo Elton John, dalle umili origini delle sue prime canzoni fino all’approdo ai vertici mondiali.
Il film scorre a ritroso nel racconto di Elton John agli altri membri di una seduta di alcolisti anonimi, che inizia con un’ammissione di varie problematiche di dipendenza, disturbi del comportamento alimentare e gestione della rabbia.
Senza farne un riassunto dettagliato, cerchiamo di individuare gli elementi più importanti della trama che ci permetteranno di fare delle considerazioni sui temi trattati da Restart. ⬇
Fin da piccolo Reginald Dwight dimostra un talento musicale ai limiti dell’umano, che riesce ad alimentare grazie al supporto della nonna, unico membro della famiglia in grado di trasmettergli il calore di cui aveva bisogno.
Dunque, tocchiamo fin da subito un tema scottante: l’anaffettività genitoriale. Il padre è un pilota della Royal Air Force, una persona quadrata, rigida, priva di qualsivoglia morbidezza, che cerca di osteggiare la scelta del figlio di intraprendere la carriera musicale. La madre non è in grado di mettere da parte il suo ego e le sue necessità di fronte alle richieste di Reginald, che sembra rincorrerla come la sua stessa ombra.
Andando avanti nel film, si assiste all’inarrestabile successo di Elton John. La fama, la ricchezza, la vita alla massima velocità, che viene celebrata in “Honky cat”, espressione di una fase espansiva, narcisista ed edonista, non tardano a scoprire l’altro lato della medaglia.
Il fu Reginald Dwight lascia totalmente spazio alla star Elton John. Il personaggio si mastica la persona sputandone le ossa, che vanno a comporre una gabbia intorno all’artista, insensibilmente idolatrato come un leone allo zoo.
Elton John diventa il motore di una macchina da milioni di dollari, una macchina con dei comodi sedili occupati da persone che sfruttano, privi di riconoscenza, il successo che l’artista sta pagando a caro prezzo con la sua stessa vita.
Le pressioni dei manager, le insensibili pretese della famiglia, ormai anche lei più attaccata al personaggio che interessata alla persona, il difficile rapporto con la propria omosessualità, la perdita di una vita “normale”, gettano Elton John in un mare di sofferenza, su cui galleggia sorretto da un precario e pericolosissimo equilibrio di abuso di droghe.
Rispetto a questo tema, il regista è stato bravo nel rendere l’uso dei diversi tipi di sostanze a seconda degli scopi: l’alcol per sedare una sofferenza di cui non parla con nessuno, la cocaina per poter indossare la sua maschera, il suo sorriso migliore e poter dare fondo a tutte le energie necessarie per regalare al pubblico quello che vuole.
La vita di Elton John perde sempre di più il contatto con la realtà, e qui probabilmente sta il messaggio principale del film e del capolavoro di canzone da cui prende il nome.
Elton John è diventato “Rocketman”, un uomo razzo in grado di volare altissimo, così in alto da non poter essere raggiunto da nessuno, così irraggiungibile da essere profondamente solo.
C’è qualcosa che nessun successo, nessun conto in banca, nessun fan è in grado di dare: l’amore.
Tutto ciò che Elton John desiderava di più era di essere amato, ma la sua carriera lo trasforma in un preziosissimo oggetto, e come ogni gioiello è fatto per adornare le vite degli altri, non per essere amato.
Elton John arriva a perdere le speranze, fino a un tentativo di suicidio plateale, chiara richiesta di quelle attenzioni umane, vere e disinteressate, che mancano nella sua vita.
Citando una bellissima frase del film “è difficile trovare l’amore, allora cerchi di imparare a farne a meno”. Così è stato per lui, che ha cercato di compensare le sue mancanze con le droghe e la promiscuità sessuale.
Lo scenografico ingresso di Elton John nella clinica di recupero è accompagnato da “Goodbye yellow brick road”, approdo spirituale di Bernie Taupin (autore dei testi di Elton John), che, in anticipo rispetto al musicista, si rende conto della necessità di tornare alle origini, di tornare a terra dopo aver volato troppo in alto.
Il film si conclude con la rinascita di Elton John, ripulito e rimesso al mondo dopo un lungo percorso di disintossicazione, ancora in piedi (il brano di chiusura è proprio “I’m still standing”) dopo un atterraggio planato sulle ali del perdono della famiglia, di sé stesso e di tutto il buio che si nasconde dietro alle luci del successo.
In conclusione, “Rocketman” è una rappresentazione esemplare della sofferenza che si accompagna al successo di un musicista. Stiamo chiaramente parlando di uno dei più grandi artisti di sempre, ma il principio che sta alla base della connessione tra successo e disagio mentale è il solito a qualsiasi livello.
Si parte da una sensibilità emotiva potenziata ma suscettibile alle intemperie esterne e si procede in un percorso che dà molto ma toglie altrettanto.
Ma da dove viene il disagio di essere un musicista di successo?
La figura del musicista potrebbe essere in un certo senso accostata a quella di un venditore molto particolare, un commerciante che non vende oggetti, ma sé stesso. E attenzione, non si sta dicendo che il musicista sia un “venduto” nella sua accezione negativa, ma che di fatto la sua fonte di guadagno è la pubblicazione delle proprie idee, emozioni, della propria storia e delle proprie debolezze.
Basare una carriera sull’esposizione di sé e riuscire a preservare uno spazio privato, senza perdere del tutto il contatto con quello che si è veramente, è probabilmente la sfida principale di un musicista.
Dietro all’estro, all’energia e all’espansività mostrata su un palcoscenico si nasconde un essere umano con identici bisogni delle persone che sono sotto il palco a guardare.
di Lorenzo Pagni