Il bipolarismo di Kanye West tra stigma e mass-medialità

Nelle ultime settimane sta imperversando la notizia della corsa alla Casa Bianca di Kanye West. Una notizia dal sapore di gag passata dalla quasi totalità dei media come l’ennesimo delirio d’onnipotenza di Ye, solito a questo particolare tipo di esternazioni, tra risatine, meme e gomitate sui fianchi.
Di recente Kim Kardashian ci ha tenuto a ricordare, tramite un post su Instagram, a tabloid e fan che Kanye soffre da tempo di disturbo bipolare e che quindi, de facto, è da considerarsi una persona «brillante… ma problematica». Insomma, al centro di tutti questi deliri di onnipotenza ci sarebbe una persona da aiutare e sostenere che, nel suo absurditan, manifesta chiaramente disagi, ma non sempre.

Allora perché vediamo Kanye come un pazzo?

Prima di chiamarsi disturbo bipolare, questo tipo di patologia psichiatrica portava il nome di sindrome maniaco-depressiva, ovvero caratterizzata da episodi alternati e improvvisi di mania e depressione. L’etichetta terminologica, in realtà, è mutata proprio perché gli sbalzi di umore peculiari di una persona che ne è affetta sono talmente fluidi e di differenti tonalità che definirli soltanto “mania” e “depressione”, di fatto rischiava di essere riduttivo. Ancora non conosciamo la causa di tale disturbo – sebbene sembrerebbe esserci un fattore ereditario importante – ma sappiamo che è possibile trattarlo con una terapia farmacologica adatta che aiuti a stabilizzare il tono dell’umore, unitamente a un percorso di psicoterapia. Lo psicoterapeuta, infatti, ricopre un ruolo fondamentale in questo caso: supporta il paziente nell’accettazione del disturbo e lo aiuta a trovare strategie e risorse adatte per riconoscere e fronteggiare le diverse manifestazioni, che possono avere valenza emotiva (sentimento di potenza assoluta, autostima ipertrofica o, al contrario, forti sentimenti di autosvalutazione, di colpa e tristezza), cognitiva (rallentamento nell’elaborazione delle informazioni, diminuzione dell’attenzione o della concentrazione, facile distraibilità), fino a impattare sulle funzioni fisiologiche e neurovegetative (insonnia, perdita di appetito, astenia).

Il disturbo bipolare non è da sottovalutare ed è fondamentale che venga trattato adeguatamente, ma è anche di vitale importanza dare la giusta valenza a quello che intrinsecamente significa: dai media, infatti, il rischio è che Kanye West ci si materializzi nella mente come una persona che non ha coscienza di sé, che compie azioni senza senso e non è in grado di prendere decisioni, quasi sia neanche di intendere e di volere. Questo, oltre che ridicolo, è profondamente sbagliato e foriero di pregiudizi negativi e stereotipie che vanno esattamente nella direzione opposta a quella della rottura dello stigma sulla salute mentale. Sapete che anche altri personaggi dello spettacolo soffrono di disturbo bipolare? Catherine Zeta-Jones, Vittorio Gassmann, Francis Coppola sono solo alcuni nomi. E storicamente pare ne fossero affetti grandi artisti come Van Gogh, Allan Poe, Baudelaire, Michelangelo. Eppure, ognuno di loro è riuscito a costruirsi una vita sociale e affettiva, nonché a produrre arte straordinaria.

Perché non riusciamo a fare a meno di stigmatizzare il disagio mentale come una diversità, un’anomalia del sistema-mondo che riguarda però molte più persone di quello che crediamo? 

Il compito dei media in questo momento storico è quello di accompagnare la rottura dello stigma raccontando il disagio mentale con una narrazione altra, diversa, anche e soprattutto utilizzando il silenzio quando i gesti, le parole e i proclama di figure pubbliche raggiungono l’assurdo e possono essere fraintese per deliri di onnipotenza gratuiti e fuori luogo di personaggi fuori dalle righe.
Soffrire di una patologia legata alla salute mentale può portare anche a questo, certo, ma non dobbiamo dimenticare che, per un Kanye West i cui sintomi vengono fraintesi e rimbalzati di tabloid in tabloid, ci sono decine di migliaia di persone che conducono vite normalissime e altamente creative, tra questi lo stesso Kanye, che negli anni ha composto album incredibili e messo su progetti di singolare bellezza, se non cambiando almeno aggiungendo un gigantesco tassello nella storia dell’hip-hop mondiale.

Cosa possiamo fare quindi per evitare la stigmatizzazione del disagio da parte dei media?

Evitiamo di affidare a loro la narrazione e mostriamo un altro punto di vista.

Parliamone, argomentiamo e normalizziamo.

Cerchiamo con tutte le nostre forze di annullare le diversità anche e soprattutto quando non visibili perché nella nostra testa.

Costruiamo una nuova, bellissima e inclusiva società.




di Michela Galluccio e Flavia Guarino

La Sindrome dell’Impostore

“Non sono davvero capace, presto mi scopriranno”.

Vi è mai capitato di pensarlo? Per alcune persone, questo sembra essere un pensiero fisso e martellante.

Ne abbiamo parlato tempo fa al Linecheck Festival e durante l’intervista a Radio Bicocca e oggi vogliamo spiegarvela nero su bianco: la sindrome dell’impostore.

Non ancora entrata nel DSM (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), tale sindrome colpisce, indovinate, proprio chi impostore non è. I sintomi sono i seguenti: sentirsi indegni o non meritevoli del successo ottenuto – seppur meritato -, sentirsi in colpa, rifiutare offerte di lavoro interessanti per paura di fallire ed essere “smascherati” e quindi di deludere chi crede in noi; non riuscire mai a godersi la gioia di un traguardo raggiunto.

Chi colpisce?

Dal medico allo studente, dal musicista al manager, nessuno sembra essere immune a questa sindrome e le donne, specie quelle che ottengono buoni risultati in ambienti di lavoro prettamente maschili, ne soffrono più degli uomini.

La cosa incredibile è che ciò che alimenta la sindrome dell’impostore è proprio il fatto di ottenere dei nuovi risultati, raggiungere traguardi e fare carriera: tutte cose che accrescerebbero il senso di inadeguatezza. Ma cosa scatena questo tipo di pensiero e chi ne è più colpito?

 

Sicuramente i perfezionisti.

 

Tale sindrome è, infatti, indissolubilmente legata a un problema di autostima e ad una propensione all’autocritica e all’autovalutazione costante. Alcune persone sono continuamente preoccupate di soddisfare le aspettative altrui o addirittura superarle e non per egocentrismo, bensì per un radicato senso del dovere.

Per quanto riguarda la nostra utenza, vi diciamo subito che la sindrome dell’impostore colpisce sia i musicisti che gli addetti al settore musicale, seppure pare che tra i secondi sia più frequente, in particolare tra le donne. In questo tipo di ambiente, infatti, spesso capita di trovarsi ad avere a che fare con persone che sembrano essere sempre sicuri di sé e certi di essere nel giusto, fosse per puro narcisismo o per una questione di facciata. Il problema è che basta sentirsi solo un minimo più fallibile degli altri, che in men che non si dica si cade in un girone infernale di autosabotaggio.

 

Ma perché, ancora una volta, ne sono vittime in misura maggiore le donne?

 

Non vi è un parere unanime a riguardo e gli studi sono ancora in divenire, ma possiamo provare a darvi una spiegazione storica: da sempre, le donne sono poco rappresentate nei posti di responsabilità quindi hanno pochi modelli a cui riferirsi. Inoltre, solo negli ultimi decenni, la classe femminile ha avuto l’opportunità di ricoprire certi ruoli, spesso posizionandosi davanti a quella maschile, soprattutto quando l’ambiente è meritocratico; per questo motivo, loro stesse ne sono sorprese proprio come gli uomini che, spesso, non accettano queste situazioni e utilizzano aggressività e atteggiamenti svalutanti per esprimere il proprio disagio. Inutile dirvi che, se c’è già una base di insicurezza storica e – oserei dire – filogenetica e si è il genere in minoranza, questo non fa che peggiorare la situazione, creando peraltro terreno fertile per l’insorgenza di disturbi d’ansia, depressione ed episodi di burn out.

 

Cosa possiamo fare per arginare questo fenomeno?

 

Come diciamo sempre in Restart, la consapevolezza è la base.

Comunicare con i propri colleghi in maniera più positiva e meno oppositiva è un buon punto di partenza, così come cercare il confronto. Scoprirete che più persone intorno a voi di quanto pensavate sono vittime di questa condizione. Infine, vi invitiamo come di consueto, a non aver paura di rivolgervi a un professionista della salute mentale se questi pensieri dovessero diventare invalidanti. E poi, una cosa fondamentale: date sempre il giusto valore a voi stessi e al lavoro che fate.

 



di Michela Galluccio