Cantare: gli effetti benefici del canto sulla mente e sul corpo

Miguel De Cervantes diceva: chi canta spaventa tutti i mali!

 

Ed è proprio vero quando si dice “canta che ti passa”. Il canto fa effettivamente bene alla salute, sia fisica che psicologica, ed è una delle espressioni artistiche più pregne di aspetti psicologici, sia per quanto riguarda il cantante, che l’ascoltatore.

Ecco quali sono gli effetti benefici del canto su mente e corpo!

 

Gli effetti benefici del canto: fa bene al corpo!

 

Una ricerca condotta dai neuroscienziati dell’Università di Göteborg, in Svezia (Vickhoff, 2013) ha dimostrato come il canto corale stimoli la comunicazione neurobiologica tra gli esseri umani e abbia degli effetti positivi sull’organismo, soprattutto sul sistema cardiovascolare.

Il canto, infatti, è una vera e propria forma di respirazione guidata e, pertanto, influisce sull’HRV (Heart Rate Variability, ovvero la variazione nell’intervallo di tempo tra i battiti cardiaci) e sull’RSA (Respiratory Sinus Arrhythmia).
La RSA è quel fenomeno per cui la frequenza cardiaca varia in sincronia con la respirazione, determinando una maggiore ampiezza dell’intervallo interbattito e, di conseguenza, un’attività del cuore più costante e regolare.
La mindfulness e l’Om delle pratiche yoga sono associate proprio a questo meccanismo.

Il disegno di ricerca ha previsto l’impiego di tre forme di canto diverse, proposte al campione esaminato: un suono monotono, un mantra (come l’Om) e un inno. Durante la performance, sono stati registrati gli indici fisiologici di ciascun partecipante, tra cui HRV, conduttanza cutanea, respirazione e temperatura; inoltre, è stata tenuta in considerazione la struttura ritmica di ciascuna forma di canto, testandone gli effetti significativi sul funzionamento cardio-circolatorio. I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’effetto maggiore sulla variabilità cardiaca è stato prodotto dal mantra e dal suono monotono, con una vera e propria sincronizzazione del battito cardiaco dei partecipanti. Ebbene sì, i cantanti si sono “sintonizzati” emotivamente, dimostrando come il canto possa non soltanto far letteralmente bene al cuore, ma rappresenti un elemento di comunicazione fondamentale a livello evolutivo e filogenetico.

Inoltre, Daniel Levitin – neuroscienziato, musicista e producer americano – nel suo celebre libro This Is Your Brain On Music, ha raccolto una serie di studi che rivelano che cantare incrementa i livelli di ossitocina, di serotonina e di immunoglobuline, migliorando la funzionalità del sistema immunitario e riducendo le tensioni muscolari.


Gli effetti benefici del canto: fa bene alla mente!

 

Cantiamo sotto la doccia, mentre passeggiamo o mentre cuciniamo; a volte canticchiamo e non ce ne rendiamo neanche conto. Ad ogni modo, qualsiasi sia il contesto o il momento, il canto ci aiuta a rilassarci e migliora il nostro umore, anche grazie al rilascio di neurotrasmettitori ed endorfine, come precedentemente accennato. Ma il bello è che, sia i cantanti professionisti che i “cantatori della doccia” hanno in comune una cosa: cantano per sé stessi, prima di tutto.

Questo è un assunto fondamentale che, soprattutto ai cantanti professionisti che possono soffrire di ansia da live performance, vale la pena di essere ricordato.

Il cantante, infatti, quando si propone al pubblico esprime non solo i contenuti del brano musicale ma anche tutto il suo mondo emotivo e, pertanto, si mette a nudo, svelando la sua identità più vera. Inoltre, il rapporto che si crea tra l’interprete e il pubblico è condizionato dall’accettazione del proprio prodotto artistico e l’ansia deriva proprio dalla paura di non essere accettati o di subire un giudizio negativo.

Per questo motivo, non di rado i cantanti soffrono di disturbi psicosomatici, legati proprio allo stress psicologico di cui sono preda. Addirittura, così come cantare aumenta le difese immunitarie, la paura di cantare può abbassarle, fino ad esporre l’artista ad ammalarsi facilmente. La paura e l’insicurezza possono, quindi, intaccare le proprietà benefiche del canto; per far sì che ciò non accada è importante tener presente che il canto è innanzitutto un mezzo di comunicazione e, pertanto, l’obiettivo principale non deve consistere nel dimostrare una particolare bravura, quanto nel trasmettere un messaggio e regalare un’emozione.

Gli interpreti professionisti, infatti, non possiedono soltanto una grande tecnica, ma ciò che li contraddistingue è l’abilità di sviluppare un rapporto empatico con il pubblico, il quale, in nome di tale legame, perdonerà anche quella prestazione non estremamente perfetta.

Una modalità che può aiutare, soprattutto quando ci si sente insicuri e con poca autostima, è quella di cantare insieme ad altre persone, come in un coro. Il coro, infatti, è uno strumento potentissimo, impiegato durante i riti e le cerimonie sin dalla preistoria: cantare in coro è coinvolgente, ci fa sentire parte di un gruppo e consente di acquistare sicurezza; in più, la presenza degli altri ci spinge ad impegnarci con costanza. Inoltre, il fatto di non dover far emergere la propria voce, ci tranquillizza ed evita l’originarsi di sentimenti di competizione e narcisismo, mentre ci motiva ad armonizzarci con il resto del gruppo.

 

Cosa consigliano gli psicologi ai cantanti?

 

  Allenati: migliorare la tecnica è fondamentale per liberarsi quanto più possibile dall’ansia da prestazione.

  Non preoccuparti se non ricevi subito un consenso da parte del pubblico, piuttosto prendila come un’opportunità per migliorarti. Tu e la tua arte esistete a prescindere dall’accettazione del pubblico.

  Accetta i tuoi limiti: il primo passo per farlo è riconoscerli.

  Poniti degli obiettivi realistici e inizia dai piccoli goals a breve termine.

  Non contrastare i tuoi sintomi: se il tuo corpo o la tua mente ti restituiscono un disagio, non devi combatterlo, ma accoglierlo. È un modo per comunicarti che c’è un problema e comprendere il disagio è il primo passo per imparare a gestirlo, ogni qualvolta decidesse di ripresentarsi.

  Impara a staccarti dal tuo ruolo e dal tuo personaggio: sposta l’attenzione su te stesso come persona, prima che come performer.

  Cambia la percezione della tua arte: non è un mezzo per scalare una classifica o vincere una sfida, bensì uno strumento di comunicazione e conoscenza, oltre che foriero di piacere e soddisfazione.

Insomma, in qualsiasi forma vogliate e in qualsiasi stanza voi siate, fate sentire la vostra voce e cantate!

 

Libri consigliati:

Psicologia della Voce e del Canto – Dalle Neuroscienze alle Applicazione Cliniche di Francesca Galvani

The World in Six Songs di Daniel Levitin

Bibliografia

Vickhoff, B., Malmgren, H., Åström, R., Nyberg, G., Ekström, S-R, Engwall, M., Snygg, J., Nilsson,  M., Jörnsten, R. (2013) Music structure determines heart rate variability of singers. Front.Psychol. 4:334.



di Michela Galluccio

Meet Mark Rubel from The Blackbird Academy of Nashville

mark rubel

Mark Rubel è uno studio engineer, produttore e musicista americano, co-direttore ed insegnante presso la Blackbird Academy di Nashville (TN) e proprietario del Pogo Studio. La sua carriera, che ha esordio nel 1980, vanta collaborazioni con artisti tra cui i Fall Out Boy, Rascall Flatts, Ludacris, The National. Occasionalmente scrive per riviste che si occupano di registrazione audio (per citarne alcune, il Mix Magazine ed il Tape Op Magazine) ed è attivo come consulente ed esperto legale nel settore audio e nel diritto d’autore.

Qui di seguito condividiamo con voi l’intervista in versione integrale che Rubel ha rilasciato a Restart in occasione del nostro topic “Behind the take: gli aspetti psicologici in studio di registrazione”:

Come accogli un cliente per metterlo a suo agio fin dall’inizio della sessione in studio?

Mark Rubel: “L’accoglienza è un momento molto importante, per questo motivo cerco di essere il più preparato possibile e in uno stato d’animo positivo. Ho un trucco: accanto alla porta d’ingresso dello studio ho attaccato una cartolina divertente in cui è raffigurato un cavallo che indossa degli occhiali da sole giganti…appena prima di aprire la porta per far entrare il cliente, la guardo. Mi mette allegria e mi fa sorridere, in questo modo la prima impressione che do al cliente è di essere di buon umore e che tutto andrà nel migliore dei modi.

È importante, inoltre, in questa fase iniziale della sessione, salutare tutti i clienti, stabilire un buon contatto visivo e stringere loro la mano. Spesso utilizzo frasi come “Benvenuti!” e “Sono contento che siate qui”. Quindi mi offro di aiutarli con la loro attrezzatura e li accompagno all’interno dello studio, il quale auspicabilmente è ben organizzato, ordinato e pronto all’uso.”

Utilizzi qualche strategia per aiutare i clienti ad esprimere al meglio il loro potenziale mentre registrano un brano?

Mark Rubel: “Solitamente cerco di mostrarmi solidale e positivo, genuinamente entusiasta per il lavoro che andremo a fare e per la musica su cui lavoreremo. Un consiglio è quello di offrire loro cibo, acqua, tè o altro, e di tenere sempre presente il loro comfort. Occorre essere sensibili alla loro energia, cercando di captare quando potrebbe essere un buon momento per fare una pausa o per andare avanti.

Poiché generalmente in studio si comunica attraverso un talkback, è importante mantenere un tono calmo ed ottimista. Trasmetti sicurezza e serenità, anche nei momenti più “semplici”, ma fondamentali, come ad esempio appena prima di iniziare a registrare una traccia: “Siete pronti? Cominciamo!”.

Un altro momento estremamente importante è alla fine di una take, poiché in questa fase è fondamentale reagire e fornire un riscontro per non lasciare l’artista senza alcun tipo di feedback. È necessario prestare attenzione anche al linguaggio utilizzato, per evidenziare le parti della registrazione che andrebbero riprese meglio, offrendo soluzioni e consigli su come fare.

Inoltre, gli studio engineer e i produttori non dovrebbero costantemente guardare lo schermo come se la musica fosse lì. È importante concentrarsi sui musicisti e prestare attenzione a come si sentono: i loro gesti, il linguaggio del corpo, etc.

È altresì essenziale controllare anche il nostro linguaggio non verbale, in quanto i musicisti sono persone generalmente sensibili e osservano come gli altri rispondono a una loro performance.

Se guardano verso la sala di regia non vogliono vedere una persona che appare annoiata, che guarda il telefono o che sta seduta con le braccia conserte. Una buona abitudine, ad esempio, è quella di muovere la testa a ritmo con la musica; inoltre, è una buona idea quella di entrare occasionalmente nella sala di ripresa e comunicare con l’artista faccia a faccia.”

Hai mai avuto esperienza di clienti particolarmente in ansia durante una registrazione, ossia che soffrissero di ciò che comunemente viene chiamata “Red Light Fever”?

Mark Rubel: “Oh sì! In effetti, nel mio primo studio nel 1980 avevamo veramente una luce rossa nella stanza che si accendeva quando stavamo registrando, come era di moda negli studi della Columbia e della RCA. Si è rivelata una pessima idea! Ed abbiamo dovuto toglierla dopo al massimo due o tre sessioni!

È piuttosto frequente incontrare artisti che soffrono di Red Light Fever, soprattutto nei meno esperti, ma talvolta anche in professionisti. La mia soluzione è quella di registrare sempre, visto anche che i supporti di memoria oggigiorno sono economici rispetto al nastro magnetico usato in precedenza. In questo modo, se qualcuno inizia ad improvvisare e nasce qualcosa di interessante, non dovremmo successivamente giustificare come mai non abbiamo catturato il momento.

Non ci sono registrazioni di prova, nessuna demo, si registra e basta, e con la tecnologia moderna possiamo utilizzare qualsiasi parte della traccia ci piaccia.

Ci sono poi altri modi per far fronte alla Red Light Fever, questi riguardano l’empatia, l’aiutare i musicisti a rilassarsi e a divertirsi. A tal proposito, un aspetto importante è l’atmosfera generale dello studio: il colore delle pareti, l’illuminazione, la disposizione dell’ambiente, l’arredamento, ma anche come parliamo ed agiamo: mostrarsi sorridenti e rassicuranti.”

Come affronti l’eventualità in cui la sessione sembra esser giunta a una situazione di stallo, in cui sembra essersi persa la giusta “vibe” e la sensazione comune è quella di non andare più da nessuna parte?

Mark Rubel: “Naturalmente non dipende interamente da chi lavora all’interno dello studio, vi sono molteplici variabili che entrano in gioco in una situazione del genere. Oltre agli accorgimenti che ho suggerito finora, possono esserci una serie di possibili soluzioni. Quale scegliere dipende dalla situazione e dalla dinamica data dalle personalità delle persone coinvolte. Alcune soluzioni possono essere:

  • trovare una soluzione creativa/musicale
  • passare ad un altro brano
  • fare una pausa o distrarsi per qualche minuto, ad esempio facendo una battuta, mostrando un breve filmato
  • a volte funziona esattamente l’opposto: ossia mantenere la testa bassa e continuare ad insistere sul lavoro che si sta facendo
  • altre volte, invece, potrebbe essere utile fare un discorso più diretto per cercare in modo collaborativo una soluzione. Ad esempio, chiedere esplicitamente: “Mi pare che al momento ci troviamo in una situazione di stallo…come potremmo smuovere la situazione? Qual è il modo migliore per risolvere la situazione in cui ci troviamo?
  • Infine, in alcune occasioni, se la produzione lo consente, si potrebbe semplicemente interrompere la sessione e ricominciare la registrazione il giorno/la volta successiva.”

Altri consigli utili per rendere la sessione in studio il più piacevole possibile?

Mark Rubel: “In generale, per chi lavora nello studio, è una buona idea, prima di iniziare una sessione, prendersi qualche minuto per sé: fai dei respiri profondi, cerca di concentrarti sul lavoro che andrai a fare e a quanto saranno soddisfatti tutti per il risultato ottenuto.

Recati in studio prima che arrivino gli altri e prendi ciò che io definisco “psychic possession” della stanza, letteralmente il “possesso psichico” della stanza, rendilo il tuo spazio, in maniera tale che l’equilibrio psicologico non si sposti in seguito verso un’eventuale personalità più forte.

Sii preparato, verifica che ci sia tutto ciò di cui avrai bisogno e che tutta l’attrezzattura funzioni come dovrebbe prima dell’arrivo dei clienti. È buona prassi, infatti, non lasciare le persone in attesa mentre finisci di preparare tecnicamente la sessione, confronti i microfoni, eccetera. Cerca di rendere il processo di registrazione il più trasparente, semplice e fluido possibile.

Inoltre, sarebbe meglio non consentire a persone estranee alla sessione di parteciparvi. Non lamentarti mai, non parlare di soldi o dei tuoi problemi e usa l’umorismo, ma solo se risulta divertente ed è apprezzato dagli altri, un umorismo non diretto a qualcuno in particolare, se non forse a te stesso. Non cercare, comunque, di essere più divertente del cliente o del produttore.

È altresì importantissima una buona comunicazione: se hai bisogno di qualche minuto per eseguire qualche modifica o correggere qualcosa, dì a tutti che sarebbe un buon momento per una pausa.

Infine, considera il progetto musicale al quale stai lavorando come se fosse il tuo, il tuo prodotto, e dai il tuo miglior contributo.

E ricordati sempre di trattare tutti con gentilezza e rispetto, dall’assistente dello studio alla star.”

  



di Giulia Masetti

Behind The Take: gli aspetti psicologici in studio di registrazione

in studio di registrazione

In studio di registrazione, gli aspetti psicologici costituiscono dei fattori chiave per il successo, in quanto giocano un ruolo fondamentale nel determinare un’ottima performance.

Fare musica, difatti, rappresenta un atto altamente emotivo e trascurare tali aspetti in fase di registrazione potrebbe portare a un esito negativo.

Il fine ultimo è quello di creare qualcosa di unico e speciale, un’emozione, un’energia collettiva; proprio per questo motivo è essenziale considerare la psicologia di tutti coloro che prendono parte alla produzione: è un lavoro di squadra tra chi produce, chi registra e gli artisti.

Quincy Jones – storico produttore di Frank Sinatra e Michael Jackson – afferma: “Ho sempre cercato di creare l’ambiente giusto affinché l’artista si sentisse abbastanza a suo agio nel dare la sua migliore performance”.

Vi sono alcuni accorgimenti essenziali che chi lavora in uno studio di registrazione dovrebbe seguire per aiutare l’artista ad esprimere a pieno il proprio potenziale e per raggiungere il miglior risultato possibile.


Quali sono?

 

  In primis lo studio stesso, che dovrebbe essere sicuro e accogliente; un ambiente caldo, rilassante e ben curato è il primo passo per far sentire a proprio agio il cliente. Ad esempio, un fattore determinante è l’illuminazione: si consigliano luci che possano aumentare o diminuire l’intensità luminosa e magari cambiare anche di colorazione (questo contribuisce a creare un’atmosfera creativa).

  Per quanto riguarda le pareti, la tendenza principale è quella di prediligere colori non accesi, con tonalità che vanno dal beige al bianco e dall’azzurro al blu. Colori più invasivi per la vista sono, invece, spesso proposti nei pannelli fonoassorbenti.

  Un altro aspetto da non trascurare riguarda l’istituirsi di un buon dialogo: ciò è importante durante tutta la fase di registrazione, anche prima della data stabilita per la sessione vera e propria. È utile conoscere il più possibile l’artista col quale si andrà a lavorare e il genere di musica che intende proporre; questo consentirà di sapere anticipatamente di cosa avrà bisogno, in modo tale da preparare lo studio e l’attrezzatura necessaria alla sessione in maniera adeguata.

Altrettanto importante è l’utilizzo di una comunicazione efficace, ossia una comunicazione assertiva per instaurare un clima sereno ed evitare incomprensioni.

Il termine “assertività” deriva dal latino “asserere”, ossia asserire, ed indica la capacità di esprimere le proprie opinioni ed idee in modo chiaro ed esaustivo, senza aggredire, offendere o prevaricare l’altro. Ciò è particolarmente importante quando si vuole dare un feedback e/o esprimere una critica. Ad esempio, prima di evidenziare eventuali punti deboli o errori nell’esecuzione, può essere utile fornire un rinforzo positivo su uno o più aspetti ben eseguiti circa l’interpretazione o la take precedentemente registrata.

  Ultimo, ma non ultimo, è indispensabile che vi sia chiarezza tra le parti. Questo risulta particolarmente utile per quanto concerne le aspettative sul prodotto, i costi e la tempistica sia delle singole sessioni sia dell’eventuale lavoro successivo di mixaggio e master.

Gli accorgimenti proposti riguardo la preparazione di uno studio di registrazione sono fondamentali, anche perché l’esperienza del recording può rappresentare una fonte di stress e ansia, soprattutto per i musicisti.

Quando si tratta di registrare, infatti, non è insolito per gli artisti sentirsi sotto pressione e sperimentare più o meno alti livelli di ansia. Il termine Red Light Fever, coniato da alcuni di essi, si riferisce proprio alla sensazione di ansia e nervosismo intensi ogni qualvolta si registra una traccia in studio e, quindi, ogni volta che si accende la fantomatica lucina rossa.

Ciò si verifica per diversi motivi, tra cui l’investimento personale, ossia il significato soggettivo che l’artista attribuisce al pezzo e che si accompagna a molteplici emozioni che desidera trasmettere nella performance in studio. È infatti questo l’ambiente in cui l’arte prende forma e viene immortalata per raggiungere, una volta che il prodotto è finito, il maggior numero possibile di ascoltatori. L’interpretazione deve, dunque, essere perfetta: ciò comporta avere l’aspettativa di fare delle take impeccabili, seppur in tempi spesso ristretti che, insieme al pensiero del costo del lavoro, contribuiscono ad alimentare la pressione psicologica.

Un’altra fonte d’ansia è la paura, il timore di sbagliare e l’insicurezza che possono determinare pensieri negativi come “Non mi sento all’altezza”, “Non dovrei essere qua”, “Non posso farlo” e “Non sono abbastanza bravo”. L’ambiente dello studio può, infatti, apparire molto intimidatorio per coloro che soffrono di Red Light Fever, i quali si sentono come analizzati attraverso una lente al microscopio: ogni piccola stonatura o errore verrà notato e ciò confermerà il loro timore di non essere all’altezza della situazione.

Inoltre, uno studio condotto da Lundh e colleghi (2002) mostra come elevati livelli di ansia possano contribuire a una percezione distorta della propria voce, ossia, come l’ansia giochi un ruolo importante nella percezione negativa della propria voce registrata.

Per integrare ed arricchire quanto esposto finora, abbiamo chiesto allo studio engineer e produttore americano Mark Rubel della Blackbird Academy di Nashville di parlarci della sua esperienza in studio (qui trovate l’intervista integrale).

Rubel conferma quanto sia importante far sentire a proprio agio fin da subito i clienti e, a tal proposito, ci ha confessato un trucchetto: “Accanto alla porta d’ingresso dello studio ho attaccato una cartolina divertente in cui è raffigurato un cavallo che indossa degli occhiali da sole giganti… appena prima di far entrare il cliente, la guardo. Mi mette allegria e mi fa sorridere, in questo modo la prima impressione che do è di essere di buon umore e che tutto andrà nel migliore dei modi.

Inoltre, per chi lavora in uno studio di registrazione può essere molto positivo ed efficace cercare di entrare in quello che Mark definisce come “possesso psichico” del proprio ambiente, ossia concentrarsi su di sé e sul proprio spazio, al fine di dare il proprio miglior contributo al progetto.

Infine, in questa fase iniziale di lavoro, un consiglio utile da seguire nel momento di accoglienza dei clienti, è quello di mostrarsi disponibili e collaborativi, ad esempio, aiutandoli a sistemare la propria attrezzatura in studio ed offrendo loro da bere o qualcosa da mangiare.

Durante la sessione, è molto importante prestare attenzione al linguaggio non verbale sia dello studio engineer che a quello dei clienti, per essere più ricettivi nel capire quando sarebbe meglio proporre una pausa oppure continuare con energia ciò che si sta registrando. Aspetti da non sottovalutare sono la propria gestualità e postura; è consigliabile non mostrarsi annoiati, con le braccia conserte o distratti con lo smartphone in mano oppure con lo sguardo fisso sul monitor, poiché le persone presenti in studio recepiscono tutti questi segnali corporei e possono esserne influenzate negativamente, con ampie ripercussioni sulla buona esecuzione della traccia. Sempre al fine di rassicurare i musicisti circa l’attenzione che viene loro rivolta, è utile fornire un feedback al termine della registrazione di ciascuna traccia, facendo attenzione al linguaggio utilizzato per evidenziare le parti della take che andrebbero migliorate.

Per quanto riguarda la Red Light Fever, riscontrata tra i meno esperti, ma a volte anche tra i professionisti del settore, Rubel suggerisce alcune tecniche per aiutare l’artista a rilassarsi e a divertirsi, tra cui registrare sempre (fin dall’inizio della sessione) e mostrarsi empatici e sorridenti.

Se dovesse poi verificarsi una situazione di stallo, in cui la sessione sembra essersi bloccata e di essere entrati in un “vicolo cieco”, Rubel propone alcune soluzioni: passare ad un altro brano, fare una breve pausa oppure fare esattamente l’opposto ed insistere su ciò che si sta facendo o, ancora, cercare in maniera collaborativa una soluzione al problema. 

 

In ogni caso, la prima regola è quella di trattare chiunque si rechi in studio per una produzione, con rispetto, sia che si tratti di un musicista alle prime armi, dell’assistente dello studio o di un artista famoso. E dare sempre il meglio di sé.

 

 

Bibliografia


Lundh, L. G., Berg, B., Johansson, H., Nilsson, L. K., Sandberg, J., & Segerstedt, A. (2002). Social Anxiety in Associated with a Negatively Distorted Perception of One’s Own Voice. Cognitive Behaviour Therapy, 31(1), 25-30.



di Giulia Masetti